mercoledì 28 febbraio 2018

Art by Henri Lebasque
















Finché avrai da darmi questo verde,
questo monte, questa luce e questa
svolta non ti domando altro, e so chi sei.
Finché mi chiudi nell’angolo di meraviglia
non ho il tempo né la voglia
d’esser triste o non saper cosa fare
di me. Qualcuno pensa, fa di me
quello che vuole, e non si sbaglia.

Paola Loreto: "La memoria del corpo"
Art by George Grosz













Il mio libro sei tu, mio vecchio amore:
ti ho letto le tue vertebre, la pelle
dei tuoi polsi, ho tradotto anche il fragore
dei tuoi sbadigli: dentro le tue ascelle

ho inciso il mio minidiario: il calore
del tuo ombelico è un tuo glossario: nelle
xilografie delle tue rughe è il cuore
dei tuoi troppi alfabeti: alle mammelle

dei tuoi brevi capitoli ho affidato,
mia bibbia, le mie dediche patetiche:
questo solo sonetto, io l’ho copiato

dalla tua gola, adesso: e ho decifrato
la tua vagina, le tue arterie ermetiche,
gli indici tuoi, e il tuo fiele, e il tuo fiato.

Edoardo Sanguineti
Art by Guido Di Marzio
















Non so perché rimango fermo,
attratto da queste placide immagini
multiple di micromondi in abbandono,
senza presenza umana, dove ogni cosa,
ogni dettaglio è oggetto, è specchio,
specchio di noi, del nostro
esserci, del nostro transito ignoto,
gioioso sforzo o lamento. Intanto

mando a memoria tra armonia e disagio
queste parole del cosmologo lucente
tra buio e spazio: «Noi siamo solo
una varietà evoluta di scimmie
su un pianeta secondario di una stella
insignificante. Ma siamo in grado
di capire l’universo, e questo
ci rende molto, molto speciali».

Maurizio Cucchi

lunedì 26 febbraio 2018

Art by Paul Rumsey (1956, England)
Geniale artista britannico che crea le sue opere nella tradizione del grottesco e del fantastico.



















Si è contenti, ecco tutto.
Crediamo di essere felici e invece quel ridicolo e sospetto stato di euforia è soltanto contentezza. E nella contentezza freghiamo il prossimo, molestiamo il vicino, ci scambiamo visite e cortesie, amiamo qualcuno, facciamo figli. Ma intanto la divina grazia del sentimento si sfinisce nella smorfia del riso, nel gesto scomposto o nella chiassosa allegria.
Chiamiamo contentezza quel vigile stato di incoscienza, il negato accesso a un superiore benessere, a una calma sincera lontana dagli affanni.
Così conteniamo le nostre miserabili aspirazioni nei limiti di una frastornante e grossolana esistenza. 
E ci accontentiamo, ci accontentiamo… poiché non ci è dato d’essere felici.
La felicità è nell’immaginazione dei bambini, nei libri dei teologi, nelle estasi dei santi. 
Ma noi, per il rispetto che le tributiamo e con buona educazione, per ora la chiamiamo arroganza.