venerdì 31 marzo 2017

Fotografo e visual artist francese Dani Olivier è uno specialista del nudo artistico. Nelle sue opere sperimenta soluzioni innovative giocando con pattern di luci e movimento. La fotografia e la sperimentazione e l'amore per il corpo femminile si mixano perfettamente regalandoci una rivisitazione contemporanea e quanto mai affascinante del nudo artistico che si evolve in nudo astratto.
L'artista mette in posa le sue splendide modelle su fondi neri e proietta luci, ombre e figure astratte e geometriche sui loro corpi grazie alla tecnica del mapping. Tutto il processo di creazione dell'opera avviene durante lo shooting, nonostante l'effetto finale sia complesso e surreale ma non è mai frutto di ritocco digitale.
Il risultato è incantevole: forme e colori si adagiano sulla pelle e, grazie all’innovativa tecnica che simula la complessità delle superfici, le proiezioni seguono perfettamente le linee e le curve del corpo trasformandolo in un'opera d’arte vera e propria.

















Ballata delle donne

Quando ci penso, che il tempo è passato,
le vecchie madri che ci hanno portato,
poi le ragazze, che furono amore,
e poi le mogli e le figlie e le nuore,
femmina penso, se penso una gioia:
pensarci il maschio, ci penso la noia.

Quando ci penso, che il tempo è venuto,
la partigiana che qui ha combattuto,
quella colpita, ferita una volta,
e quella morta, che abbiamo sepolta,
femmina penso, se penso la pace:
pensarci il maschio, pensare non piace.

Quando ci penso, che il tempo ritorna,
che arriva il giorno che il giorno raggiorna,
penso che è culla una pancia di donna,
e casa è pancia che tiene una gonna,
e pancia è cassa, che viene al finire,
che arriva il giorno che si va a dormire.

Perché la donna non è cielo, è terra
carne di terra che non vuole guerra:
è questa terra, che io fui seminato,
vita ho vissuto che dentro ho piantato,
qui cerco il caldo che il cuore ci sente,
la lunga notte che divento niente.

Femmina penso, se penso l'umano
la mia compagna, ti prendo per mano.

Edoardo Sanguineti



 

sabato 25 marzo 2017

Antonio Napoletano (1953, Italian)









Tra un fiore colto e l’altro donato
l’inesprimibile nulla.


Randolph Stanley Hewton (1888 – 1960, Canadian)



Chiedi al poeta
della sua tristezza:
l’adornerà di cieli gonfi
e salici chini sulle nubi
di aurore stese sui tetti
di lenzuola aulenti;

parlerà di vie assolate
di volti sorridenti
di una rosa smarrita
che arresta
il rotolare di un sasso;

di un cagnolino
che fiuta il vento,
(che arruffa i voli e sbianca
le onde).

Parlerà del sole
che affoga così lento
affinché l’azzurro
possa intiepidire
il trasparente ventre
della luna.

Chiedigli di Dio:
ti poserà sul palmo
una goccia
e tu vedrai gli oceani.

Ti convincerà che il cielo
confina con i sogni
ed oltre, l’abisso sarà
greve di nuove stelle.

Ti parlerà dell’Infinito:
che è in un seme
e nel tuo sguardo,
mentre scioglie la giostra
dei suoi smarrimenti.

Chiedi ciò che vuoi al poeta
ti darà semplicemente
la meraviglia del suo nulla.

Laura Chiarina
Art by Margaret Bowland (1953, American)










Non capirsi è terribile –
non capirsi e abbracciarsi.
Ma per quanto strano,
è altrettanto terribile, altrettanto,
capirsi in tutto.

Ci feriamo comunque.
E, segnato da una precoce conoscenza,
l’animo tuo soave
io con l’incomprensione non offenderò
e non ucciderò con la comprensione.

Evgenij Aleksandrovič Evtušenko


martedì 21 marzo 2017

Art by Denis Chernov


La Bellezza è una forma del Genio, anzi, è più alta del Genio perché non necessita di spiegazioni. Essa è uno dei grandi fatti del mondo, come la luce solare, la primavera, il riflesso nell’acqua scura di quella conchiglia d’argento che chiamiamo luna.

Oscar Wilde

lunedì 20 marzo 2017

Art by Giulio Aristide Sartorio





























Il munifico sire Autunno, il dio
cui non più la matura uva compone
intorno il nero crin cerchio d’oblìo
né come al fauno del selvaggio Edone
alto in man brilla il cembalo giulìo
(ben cingon la sua fronte ardua corone
di gemme e l’occhio cerulo gli langue
profondamente quasi che del sangue
ei nudrisca una lenta passione)


riverso in nube per i vitrei seni
lucida al sole come un rogo ardente,
quali d’àrbori forme in rii sereni
vede pender ne l’aria agilemente
i fastigi de’ templi, e sciolta ai leni
spirti de l’aria dà la chioma aulente
che il ciel solca, celeste fiume d’oro,
dietro lasciando un fremito sonoro
a cui guardan le turbe umane intente.


Lui seguon pe ’l viaggio, in un corteo
lungo e composto, cento giovinetti.
Han l’arco più che quello d’Odisseo
grande e lunato, in fascio han dardi eletti;
anche han palvesi; e portan su ’l febeo
capo una sorta di vermigli elmetti
ricoprenti la gota, a mo’ de’ Frigi,
a mo’ del biondo cavalier Parigi.
Nudi e in tutte le membra ei son perfetti.


Perfetti come se dal fior de’ parii
marmi avesseli tratti Prassitèle,
muovono insieme i cento Sagittarii,
al magnifico iddio coro fedele.
Brandiscono i gravi archi in gesti varii,
però che frema ne la man crudele
il disìo de la strage e de la gloria
e risuonino ancor ne la memoria
le gran selve terrestri, di querele.


Argàbalo n’è il buono imperadore
che tiene in pugno il gonfalon levato,
Argàbalo che molto dal signore
teneramente è sopra gli altri amato.
Aureo porta l’elmetto e un giustacuore
nitido, di finissimo broccato.
Adergesi com’aquila in ardire,
su ’l capo udendo il gonfalon garrire.
Brilla di gemme il piede coturnato.


Così va la milizia, al suo comando,
raccolta presso il dio; ma se in cortesi
ludi per l’aria s’apre a quando a quando
come s’apre un’aurora, a vol sospesi
guizzano i corpi snelli balenando
e co’ i dardi e co’ li archi e co’ i palvesi
fingon nuove a la vista meraviglie.
Alto ridono, simili a vermiglie
fiamme, gli elmetti dal gran sole accesi.


Il dio, poggiato in su la palma il mento
imberbe, a torno gli occhi umidi gira.
– Non più – mormora – i giuochi de’ miei Cento,
cui par che guidi il suono d’una lira
così nobile è il lor componimento
e armoniosa la lor flòrea spira,
non più recan diletto al cuor profondo!
Qual male ignoto dentro me nascondo,
che sì forte mi crucia? – il dio sospira.


Sospira ei dietro a la sua disianza
ignota; e chiama il buono imperadore.
– Fa che cessi d’in torno ogni esultanza,
o Argàbalo, però che del mio cuore
il Dolore abbia fatto la sua stanza! –
Pronti, al comando, frenano l’ardore
i Sagittarii; e seguon tristamente.
Suonano ancor ne la memoria ardente
le gran selve terrestri, di clamore.


Di clamore e de l’armi e de’ gran corni
risonavan le selve al lor passare.
Vedeansi lungi per i bui soggiorni
i meandri de’ fiumi balenare.
Se i nudi cacciatori in su’ ritorni
venìa la ninfa pavida a spiare,
scorgeano quelli in tra la fronda il molle
velo, ed un foco in tutte le midolle
correva. – Oh non mai van perseguitare!


Oh dolce cosa ancor di sangue tinti
premere l’orme de la fuggitiva
giovine, a gara per que’ laberinti
ove i culmini il vespero feriva;
lei ghermir; tra la chioma di giacinti
cogliere il fior de la sua bocca viva! –
Seguono in van la desiata effigie.
Tal fino al labro era ne l’ende stigie
Tantalo, e il bel giardin vicin fioriva.

Gabriele d'Annunzio: L’allegoria dell’Autunno